Il 2 ottobre del 1999, nella sesta giornata della Liga tra Valladolid e Barcellona, mister Louis van Gaal decide di testare una delle nuove leve arrivate dalla squadra giovanile. È un difensore centrale, anche se nella sua carriera avrà cambiato per lo meno 5 o 6 ruoli, da portiere ad attaccante, fino a centrocampista centrale. Segni di riconoscimento, un parruccone alla Disco Stu che si era già guadagnato diversi commenti da parte di allenatore e compagni. Sostituisce al 55’ Simão, anch’egli una riserva che durerà solo un paio d’anni nel team blaugrana, e si piazza a fianco di Abelardo e Sergi Barjuán in retroguardia. La recluta fa il suo dovere e aiuta la squadra a bloccare la partita sul 2:0, risultato che concede altri tre punti ad un Barcellona in corsa per il titolo.
Un inizio come tanti, una fine come pochi. Nessuno avrebbe potuto scommettere che quel ragazzino dai capelli lunghi e spettinati sarebbe diventato una delle colonne portanti del Barcellona del nuovo millennio. Un muro di un metro e 75 di altezza, ma pur sempre invalicabile, in grado di dare sicurezza in difesa ad una squadra geneticamente più propensa all’attacco. Quello contro il Valladolid di quel 2 ottobre, sarà il primo dei 593 match ufficiali presidiati dal difensore con la maglia del Barça.
Il suo nome era Carles Puyol, uno dei difensori più forti che la storia del calcio abbia mai visto.
Carles Puyol – La Carriera
Sono ormai diversi anni che Carles Puyol, il Muro Catalano come lo chiamavano, si è ritirato dal calcio giocato. Il 15 maggio del 2014 fu la fatidica data dell’addio, a due giorni dal match contro l’Atletico al quale non avrebbe partecipato. Per quanto la voglia di entrare in campo fosse palpabile, pure in quella circostanza il capitano mise davanti la maglia alla gloria. Complice anche quel maledetto ginocchio, nella sua decisione di salutare il Camp Nou dagli spalti. Lo stesso ginocchio che l’anno prima lo aveva tenuto lontano dal campo per quasi sei mesi.
Quella di Puyol è stata infatti un’avventura fatta di gioie, ma anche di tanti dolori e sacrifici. Le sei operazioni subite in carriera hanno eventualmente avuto la meglio dopo 15 anni di onorato servizio. Inguine, gomito e ginocchio le più famose. Tutti sintomi di una vita da mediano, o meglio, da difensore centrale disposto a tutto per non far passare la palla.
21 titoli vinti in totale, sotto la guida complessiva di 8 tecnici e ben 21 difensori centrali diversi al suo fianco. Nel palmares, si contano 6 campionati, 3 Champions League e un Mondiale, l’unico vinto dalla Spagna. In semifinale di Coppa del Mondo, fu il suo gol a 15 minuti dalla fine a garantire a lui e ai suoi compagni il passaggio alla finale, vinta successivamente contro l’Olanda.
Al momento, Puyol è il quarto giocatore con più presenze nella storia del Barcellona dietro Xavi, Messi e Iniesta. Fu proprio Xavi a prendere il posto da capitano dopo l’addio dell’ormai 36enne retroguardia. A tramandare la fascia al catalano fu Luis Enrique nell’agosto del 2004, cinque anni dopo l’ingresso del numero 5 tra le file della prima squadra.
Ai titoli con il club si sommano quelli personali, come le sei presenze nella UEFA Team of the Year, 1 UEFA Club Best Defender, e una posizione nel FIFA World Cup Dream Team 2010.
Lo stile di gioco di Puyol
L’Italia non è la patria del calcio champagne. In opposizione, non c’è paese al mondo che valorizzi l’arte difensiva come il nostro. L’eredità di mostri sacri come Gentile, Baresi e Maldini fa si che siano veramente pochi i difensori stranieri capaci di attivare i nostri radar.
Puyol è certamente tra quella piccola cerchia di eccezioni. Una figura in grado di distogliere l’attenzione dei coach avversari dall’imponente carico offensivo del Barcellona, e obbligarli a pensare anche ad extra strategie d’attacco.
Il suo stile ricorda molto quello del nostro Fabio Cannavaro. Di media altezza ma granitico, ottimo anche sulle palle alte, estremamente organizzato e capace di dirigere con fermezza la propria squadra. Giocava spesso d’anticipo e, nel corpo a corpo, baricentro basso e solidità fisica lo rendevano semplicemente inamovibile. Stando alle dichiarazioni del capo medico del Barcellona, il difensore era “il più duro dei suoi compagni, con un’immensa velocità di reazione, e una forza esplosiva.”
Oltre alle sue caratteristiche fisiche e tecniche, ciò che rendeva questo giocatore davvero speciale era il coraggio con il quale affrontava i suoi avversari. Baresi dirà di lui: «Carles Puyol mette la propria faccia dove la maggior parte dei giocatori non metterebbe il piede». Tra le sue trovate più spericolate c’è la parata di petto contro il Lokomotiv Mosca del 2002 e il siluro di Roberto Carlos salvato con la faccia sulla linea di porta ne El Classico del 2003.
Fuori dal campo invece, come spesso accade con giocatori iperattivi come Puyol, il catalano era tutto meno che spericolato. Nightclubs e discoteche erano roba da Ronaldinho, mentre lui se ne tornava a casa diligentemente dopo ogni partita.
Una delle sue passioni più note: la lettura e i giochi da tavolo. Abitudini che da un’idea di uomo parecchio contrastante rispetto a quella del Puyol che staccava a morsi gli avversari.